Pronomi
«Rivendico il diritto all'arte del saccheggio, alla 30 non-oggettività, alla contraddizione, al procedere non scientifico, al libero prelievo di testi altrui e al loro casuale sovrapporsi e pure al loro confliggere». Con grande sincerità e senza alcun timore di essere politically incorrect, un linguista si scompone nelle sue manie e passioni, idiosincrasie e valori. La poesia e il jazz, l'irritazione per i luoghi comuni ricorrenti e il pensiero unico, le parole e il destino delle lingue, i vivi e i morti, le differenze e le analogie, l'intelligenza artificiale e quella artificiosa, la filosofia grammaticale e l'ironica saggezza dell'interpunzione... tutto questo e molto altro ancora creano un indimenticabile «me stesso», castello di carte e di carta nell'infinito gioco del mondo. Mettiamo che un linguista, che è anche un poeta, decida di descrivere senza remore ciò che vede e pensa del mondo, osservandolo dalla sua finestra affacciata su un tramonto occidentale. E, per farlo, cominci con l'aprirla... Se perciò vi attendete che questo libro sia un monologo, o un soliloquio, abbandonate da subito l'ipotesi: l'io narrante non sarà mai solo. Perché i linguisti parlano, certo, ma soprattutto ascoltano. Se poi sono anche poeti sentono perfino i rumori bianchi, le pause, gli a capo. E da quella finestra d'Occidente entra davvero di tutto. E irrompe con una folla di voci. E interrompe io. Di continuo. Ma forse è per l'appunto nell'essere interrotti che si diventa davvero sé stessi: nella propria libera e liberatoria reazione a ciò che, da fuori (ma anche da dentro), ci avvolge costantemente di parole. Quella reazione che è un discrimine e un vaglio, un generatore di categorie, di dilezioni, di appartenenza, di rifiuto. E quindi di pronomi. Il fastidio tremendo di fronte alle vocette che blaterano parole alquanto cretine ma di moda; l'idiosincrasia per le astrusità pompose e spesso vuote di senso pronunciate in tono impostato (di solito un po' nasale); o, al contrario, l'incanto per frasi perfette di cui condividiamo i contenuti; la familiarità con le voci dei defunti che ci risuonano ancora nella mente; la consonanza con certi versi indimenticabili di poesie e canzoni... ecco, tutto questo finisce per creare il sospensivo loro di cui spesso poco ci fidiamo, l'ecumenico noi (ma non sempre è vero), il losco voi, l'intimo tu (con cui però ci apostrofa anche l'interlocutore che abbiamo dentro la testa, di solito contraddicendoci). La sintassi dell'io è l'esito di continue scelte grammaticali, meditate o divaganti, ci dice il linguista. E il poeta sorridendo aggiunge: fai attenzione alle autobiografie involontarie, perché potrebbero essere la tua.
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