Piccoli atti di misericordia è un romanzo potente e tragico, una di quelle narrazioni di cui capisci molto presto che non ci sarà alcun lieto fine. A me è piaciuto molto, perché amo i noir e questo ne è un esempio classico: qualcosa di orrendo capita ad una persona qualunque, e noi lettori assistiamo al dipanarsi della vicenda. In questo caso il valore aggiunto, oltre alla scrittura evocativa e netta, è l'aspetto sociale. Viene raccontato uno spaccato della Boston degli anni '70, con tutte le contraddizioni dell'epoca. C'è odio, c'è violenza, c'è l'ombra cupa di quella guerra del Vietnam che ha cambiato tutto per sempre, c'è la paura dell'altro, di chi è diverso per radici, per ceto sociale, per religione, per colore della pelle (cinquant'anni dopo direi che siamo più o meno ancora lì, purtroppo). Ma c'è, insopprimibile, qualche scintilla di speranza, pur nell'abisso che si spalanca pagina dopo pagina. C'è il tentativo di capire quanti errori si fanno, magari in buona fede, magari perché non si è mai provato a mettersi nei panni degli altri, magari perché "si è sempre fatto così". E c'è spazio per qualche "piccolo atto di misericordia", piccolo ma importantissimo. Ed il finale, che ci mostra finalmente un quadro di pace, almeno per qualcuno, con la musica e un incontro impossibile ma vero tra chi c'è ancora e chi non c'è più, in cui raccontare la vita, "con i suoi alti e bassi, i sogni infranti e le gioie inaspettate, le piccole tragedie e i modesti miracoli".
